26 dicembre 2011

L'Arte dell'Avventura (2)



Proseguiamo la traduzione del saggio di Nelson, oggi è la volta della prima parte del secondo paragrafo dove Graham comincia a raccontare la storia dell'interactive fiction. Prosegue la prossima settimana... stay tuned.

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Una breve storia della narrativa interattiva

La storia della narrativa interattiva del ventesimo secolo deve ancora essere scritta. Una bozza potrebbe essere la seguente: un’era di precursori e di giochi universitari, 1972-81; il boom commerciale, 1982-6; un periodo di nostalgia tra gli utenti di Internet per i giochi testuali mentre l’industria video ludica si era oramai direzionata unicamente verso i giochi grafici, 1987-91; e l’era di Usenet e dei newsgroup come rec.arts.int-fiction (per l’italia it.comp.giochi.avventure.testuali. NdR) e le sue competizioni annuali, fatte di avventure più brevi e molto diverse da quelle di genere spingendosi financo a quelle senza enigmi, 1992-9.

{Il primo decennio del ventunesimo secolo ha visto il tramonto di Usenet quale luogo di ritrovo, e l’affermarsi di blog e forum, oltre ai wiki dedicati alle IF. Alle avventure strettamente testuali si sono affiancate quelle che, seppur mantenendo centrale il testo, hanno aggiunto elementi multimediali. Una delle maggiori novità è stata quella di avere la possibilità di giocare le avventure direttamente online attraverso il browser su praticamente qualsiasi tipo di macchina, telefoni cellulari compresi. NdR}

I Precursori ed i giochi universitari 1972–81

Forse il primo vero avventuriero è stato uno schiavo mulatto di nome Stephen Bishop, nato nel 1820 circa: “piccolo, grazioso, e molto affascinante”; una guida “veloce, audace e entusiasta” delle Mammoth Cave nell’area carsica del Kentucky. La storia delle Grotte è un curioso microcosmo della storia Americana. La loro scoperta è argomento di leggende che nascono alla fine del diciottesimo secolo; si dice che un cacciatore, John Houchin, inseguì un orso ferito fino ad una grande grotta vicino il Green Rive e rimase lì stupefatto ed esitante davanti all’ingresso. L’entrata era popolata da pipistrelli e durante la Guerra del 1812 la grotta fu trasformata in una miniera per il guano, che veniva dissolto in tini di nitrati per creare il salnitro necessario alle armi da fuoco. Dopo la guerra il prezzo del salnitro diminuì, ma la Grotta divenne una piccola attrazione nel momento che vi fu trovata la mummia di una indiana, seduta dritta, in una bara di pietra, circondata da talismani. Nel 1815, Fawn Hoof, questo fu il soprannome che le fu dato, fu portata via da un circo, per intrattenere le folle da una parte all’altra dell’America (un giro che ricorda la canzone di Don McLean “The Legend of Andrew McCrew”). La mummia finì allo Smithsonian, ma dal 1820 la Grotta fu definita una delle meraviglie del mondo, in larga parte grazie ai suoi sforzi postumi.

Dall’inizio del diciannovesimo secolo le grotte Europee erano fonte di grande attrazione, ma quasi nessuno aveva visitato la Mammoth, “meraviglia del mondo” o meno. Non che fosse particolarmente grande dal momento che il nome era un lascito dei minatori, che si vantavano della mastodontica produzione di guano. Nel 1838 il padrone di Stephen Bishop comprò la Grotta. Stephen fu (essendo uno schiavo) inevitabilmente incaricato di sorvergliarla, ma essendo comunque un uomo di una certa levatura: autodidatta in Latino e Greco, divenne famoso come “Capo e Sovrano” del suo regno sotterraneo. Esplorò e diede il nome a molti dei luoghi nel suo tempo libero, raddoppiando in un anno la mappa delle zone conosciute. La particolarità dei nomi dei luoghi della Grotta – per metà semplice Americano, e per metà di stile classico – cominciarono con Stephen: il River Styx (fiume stige), la Snowball Room (la stanza delle palle di neve), Little Bat Avenue (il viale del pipistrelletto), la Giant Dome (la cupola gigante). Stephen inoltre scoprì strani pesci ciechi, serpenti, grilli silenziosi, resti di orsi delle caverne (creature selvagge, molto più grandi degli orsi odierni, potevano arrivare a pesare oltre 900 kg, ed erano in competizione diretta con gli uomini per il possesso delle caverne. Si estinsero alla fine dell’ultima glaciazione), lavori indiani in gesso vecchi di centinaia di anni ed altre caverne naturalmente. La sua mappa del 1842, ricostruita e disegnata interamente a memoria, fu utilizzata per oltre 40 anni.

Dopo un breve periodo di maldestra filantropia in cui le caverne vennero usate come sanatorio per pazienti tubercolosi, il turismo prese il sopravvento. All’inizio del ventesimo secolo le vicinanze delle caverne cominciarono ad essere occupate con la forza ed i titoli legali dei terreni erano continuamente messi in discussione. Nel 1912 nella vicina catena montuosa, attraverso la Houchins Valley nella Flint Ridge, venne aperta la Great Onyx Cave.

Negli anni ‘20, la guerra delle Caverne del Kentucky era in pieno svolgimento. I proprietari delle grotte rivali distraevano i turisti con falsi poliziotti, impiegavano tirapiedi per disturbare i giri turistici della concorrenza, bruciavano le biglietterie, stampavano manifesti diffamatori. L’esplorazione delle grotte divenne tanto pericolosa e misteriosa che alla fine nel 1941 il Governo degli Stati Uniti decise di intervenire, rendendo la maggior parte dell’area un Parco Nazionale e vietando di fatto l’esplorazione delle caverne. La corsa all’oro dei turisti era, comunque, in fase calante.

Convinti che le grotte Mammoth e Flint Ridge erano tutte collegate tra loro in un’unica catena, di oltre quattrocento miglia di estensione, gli esploratori provarono ad entrare di nascosto per anni, solo raramente ottenendo il sostegno ufficiale. Per tutti gli anni ‘60 l’esplorazione di tutte le diramazioni della Flint Ridge – piena di tunnel difficili e pieni d’acqua – finì strozzata nella roccia. La svolta arrivò nel 1972 quando una fisica “magrolina”, Patricia Crowther, riuscì a passare attraverso il Tight Spot (punto stretto) e trovò un passaggio fangoso: era la via nascosta per entrare nella Mammoth Cave.

Secondo le disposizioni testamentarie del suo padrone, Stephen Bishop fu liberato nel 1856, a quel tempo la grotta era conosciuta per 226 viali, 47 cupole, 23 fosse, ed 8 cascate. Morì l’anno successivo, prima di riuscire a comprare sua moglie e suo figlio, e di coronare il sogno di una fattoria in Argentina. Negli anni ‘70 curiosamente il passaggio fangoso di Crowter fu trovato già segnato sulla sua mappa.

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Uno dei compagni di speleologia di Pat Crowther era suo marito, Will, che aveva già usato il computer per disegnare le mappe del gruppo. Lasciamo per un attimo proseguire a lui la storia:

Al tempo giocavo ad un gioco di ruolo, non per computer, chiamato Dungeons and Dragons (1975 circa), e stavo anche esplorando delle grotte... Improvvisamente mi ritrovai invischiato in un divorzio, e questo mi lasciò a pezzi sotto vari aspetti. In particolare mi mancavano i bambini.  
Anche la mia attività speleologica si fermò, dal momento che era diventato tutto complicato, quindi decisi, per passare il tempo, di scrivere un programma che consisteva in una ricreazione fantastica dell’esplorazione delle grotte, e sarebbe stato anche un gioco per i bambini...
La mia idea era quella di creare un gioco per computer che non mettesse a disagio le persone che non conoscevano il computer, e questa era una delle ragioni perché lo studiai in modo che il giocatore interagisse attraverso input in linguaggio naturale, invece che in comandi più standardizzati. (Cit. Dale Peterson, Genesis II: Creation and Recreation with Computers, 1983.)

E’ difficile non provare una certa tristezza pensando che il primo gioco di avventura si è formato su queste due anime perse, Bishop e Crowther, entrambe come Orfeo incapaci di guidare le loro moglie fuori dagli inferi. Il programma di Crowter (1975 circa), quindi, era una simulazione dell’area della Bedquilt Cave, con il suo stile basato a turni e su conversazioni con la macchina dovuto all’adattamento di un gioco di guerra da tavolo di stile medieval fantastico: Dungeons and Dragons (1973–4) di E. Gary Gygax e Dave Arneson. Non che il programma fosse senza precedenti anche in informatica – ‘Hunt the Wumpus’ (Gregory Yob, 1972) era un labirinto testuale, mentre ‘SHRDLU’ (Terry Winograd, 1972) aveva un parser simile a quello di adventure – o in letteratura, dove OuLiPo ed altri generi di letteratura ludica, specialmente in Francia, avevano sperimentato quasi ogni permutazione per rendere i libri fisici aperti a più finali: Cent mille milliards de poèmes (1962) di Raymond Queneau tagliava le sue pagine in strisce così che le linee di dieci sonetti potevano essere mescolate per formarne altri 1014. 1 

Ma gli scrittori di OuLiPo, e precedentemente i futuristi, avevano pensato più in termini di meccanica piuttosto che di informatica: la letteratura meccanica è una provocazione senza vergogna al lettore poco accorto che vi si trova invischiato. Italo Calvino (nella sua conferenza del 1969 Cybernetics and Ghosts):

Sarà uno successo che si concretizzerà solo se la macchina da scrivere sarà circondata da fantasmi nascosti dell’individuo e della sua società.

A conti fatti, quindi, ‘Advent’ ha inventato una nuova categoria di programmi per computer ed un nuovo tipo di letteratura. Lo scopo era esplorare, c’erano solo cinque tesori da trovare e gli enigmi erano poco più di ostacoli “naturali”, come un serpente, un nano e un pirata, il primo dei labirinti e con il limite della durata della batteria della lampada a carburo, compagna vitale del protagonista speleologo. Come la vera Bedquilt, la simulazione ha una mappa su circa quattro livelli di profondità ed è ricca di dettagli geologici:

SEI IN UNA SPLENDIDA CAMERA, ALTA CIRCA TREDICI PIEDI. LE PARETI SONO FIUMI GHIACCIATI DI ROCCIA ARANCIONE. UNO STRANO CANYON E UN BUON PASSAGGIO CONDUCONO FUORI DALLA CAMERA VERSO EST E VERSO OVEST.

Esistono delle fotografie di questa camera e la colonna che scende verso di essa è fatta di travertino, un minerale arancione, che si trova immerso nel calcare bagnato. Il linguaggio del gioco è pieno di riferimenti alla speleologia, dalle “cupole” ai “passaggi”. Una “slab room”, per esempio, è una grotta molto antica il cui soffitto ha cominciato a rompersi in affilate lastre che si ammassano sul pavimento in eccentrici cumuli.

Lavorando al SAIL, lo Stanford Artificial Intelligence Laboratory, nella primavera del 1976, Don Woods scoprì il gioco di Crowther tra quelli disponibili sul network ARPANET (ancora in germoglio, consisteva in 110 computer all’epoca), network figlio di un matrimonio riparatore nel 1969 tra università e Dipartimento della Difesa che disponevano di computer PDP-10 (ed alcuni altri). Il PDP-10, il cui set di caratteri non includeva le lettere minuscole - da qui l’uso delle maiuscole nell’esempio precedente, sebbene altrove in questo saggio le citazioni da ‘Advent’ siano state normalizzate - era un computer piuttosto “amichevole” che permetteva l’uso ricreativo, ma soprattutto era un computer condiviso a tempo da utenti diversi che potevano far girare programmi molto più grandi e più complessi dei giochi tradizionali come ‘Spacewar!’ che funzionava su PDP-1. 

Con la benedizione di Crowther, ma lavorando completamente da solo, Woods rielaborò le grotte e le riempì di oggetti magici ed enigmi, ignorando deliberatamente lo stile originale di tanto in tanto. Molte delle caratteristiche qualitative che ne faranno un classico derivano da questa tensione tra la simulazione originale, fatta di scoperte ed esplorazione delle grotte con i loro misteri i graffiti e le camere spettacolari, e le aggiunte da cartone animato - il ponte del troll, la casa del gigante, la Stanza Orientale, il vulcano attivo. 

Il contributo di Crowter è austero, dal sapore Tolkieninano, in cui la magia è rara, e la geografia è ben costruita, specialmente lungo i confini della mappa: la foresta esterna e le gole, le caverne bloccate dai detriti, il Fiume di Roccia Arancione. Alcune delle aggiunte di Woods, come l’orso, erano in sintonia con l’ambiente originale, ma altre come la macchina distributrice per ricaricare le batterie della lampada, se ne discostavano molto. La loro strana collaborazione però in qualche modo funziona. 

In generale, si può dire che esistono un Crowther ed un Woods in ogni autore, l’uno intento a ricreare l’esperienza di un mondo, l’altro con un ingegnoso enigma che dovrebbe essere messo da qualche parte.

Dal 1977 copie di ‘Advent’ cominciarono a circolare un po’ ovunque, dal gruppo di utenti per il Digitale DECUS, ad altri, che ci giocavano all’ora di pranzo e nei fine settimana. L’idea cominciò a circolare, e si diffuse, dal momento che sorprendeva sempre più persone che ne venivano a conoscenza attraverso il passaparola degli amici. 

Nel libro di Tracy Kidder, vincitore di un premio Pulitzer, The Soul of a New Machine (1981), l’occhio di un giornalista si posa sulla costruzione di un nuovo modello di computer pensato per le aziende, ‘Advent’ compare nei programmi come aggiunta, ma c’è di più: mentre gli ingegneri usano il programma quale conveniente test di durata, per Kidder è un codice che appassiona nell’animo e, forse, fa emergere una nuova personalità. 

Un’altro visitatore ad esserne affascinato fu il produttore televisivo Patrick Dowling, che creò The Adventure Game (BBC1 e BBC2, da Maggio 1980 a Febbraio 1986): per una curiosa coincidenza, la sua prima scelta come creatore di enigmi e come scrittore fu Douglas Adams, allora alla BBC anche se non fu disponibile a prendere l’incarico. Adams riapparirà successivamente. In Game, la gente della Terra verrà messa alla prova dall’alieno Argonds facendogli esplorare stanze con all’interno oggetti ed enigmi piuttosto difficili nella speranza di trovare drognas (la valuta di Arg), con il quale pagare Sua Altezza Rangdo, personaggio dal corpo di pianta aspidistra con la tendenza ad agitarsi ed a ruggire quando irritato. (ci potrebbero essere altri anagrammi per “dragon”.) Un enigma ricorrente era un semplice gioco di avventura che veniva avviato, naturalmente, su un BBC Micro, così che ogni settimana gli spettatori potevano vedere freschi contendenti seduti alla tastiera a cercare di carpire, ad esempio, se il “pesce scarlatto” era una aringa rossa.

Molti dei dipartimenti universitari allora connessi alla ARPANET erano specializzati in scienze informatiche, ed ogni programma era un invito a svilupparne un’altro. Alla Essex University, in Inghilterra, Roy Trubshaw e Richard Bartle svilupparono il concetto di ‘Advent’ in ‘Essex MUD’ (che funzionò dalla fine del 1979 fino a Settembre del 1987 e continua in differenti forme ancora oggi). 

MUD era un acronimo per indicare Multi-User Dungeon al quale utenti da remoto si connettevano durante la notte, entrando in competizione talvolta sleale uno contro l’altro - uccidere un altro giocatore faceva guadagnare 1/24esimo dei suoi punti, che altrimenti sarebbero dovuti essere guadagnati attraverso una lunga ricerca di tesori in una palude – per diventare “stregoni” in un ambiente fantastico anglicizzato leggermente dalla presenza di un capanno di paglia. Per i primi network basati su linee telefoniche come la British Telecom's Prestel Gold and CompuServe, far girare un MUD era (piuttosto) conveniente, e i giochi di tornei online con sfide “all’ultimo sangue” come ‘Quake’ o ‘Ultima’ sono il lascito dei MUD.

Nel 1979-1981, furono scritti dei “game assemblers” in almeno tre dipartimenti per creare nuovi programmi simili ad Adventure - la parola “avventure” al plurale sembra ancora non fosse usata. Chris Gray e Alan Covington scrissero “Six/Fant” all’University of Alberta, in Canada, e alla UCLA presso il Computer Club fu scritto il “Dungeon Definition Language” (che più tardi si evolse nell’ADL di Tim Brengle e Ross Cunniff (1987)) entrambi lavori degni di menzione. Alla Cambridge University, in Inghilterra, comunque, l’assembler di David Seal e Jonathan Thackray potrebbe essere stato il primo “sistema di programmazione di avventure” ad essere usato in un ambito più esteso che non quello dei soli suoi creatori. Ecco un pezzo tipico di codice, che permetteva al giocatore di saltare oltre un buco solo se trasportava una sedia e se nella stanza c’era veramente un buco:

JUMPHOLE:
SKIP UNLESS R (CHAIR)R EQ HOLEROOM
SKIP UNLESS H CHAIR PLAYER
PRINTRET HOLEHIGH
MOVE PLAYER WITH TO UPROOM
PRINTRET CHAIRJUMP

L’assembler fu usato per creare sedici giochi che costituirono la massima attività ricreativa su “Phoenix”, il mainframe per IBM 370 usato dagli studenti e dallo staff accademico negli anni ‘80. Erano giochi piuttosto ampi, e richiedevano grandi risorse in termini di capacità computazionale, dalla struttura tradizionale e molto difficili, venivano giocati principalmente quando si era stanchi del lavoro e fuori dell’orario d’ufficio. “Bene vai e lavora un po’ allora” era il messaggio d’uscita di ‘Fyleet’ (Jonathan Partington, 1985). 

I titoli tendevano ad essere distinti da una sola parola, di solito il nome di un luogo antico. Alcuni giochi furono successivamente distribuiti dalla Acornsoft e più tardi una seconda volta dalla Topologika, così che talvolta sono vagamente ricordati come i giochi della Topologika. Ma per tutti coloro che erano lì, essi evocano le nottate nell’Area Utenti ed il sapore della cioccolata Nestle del distributore automatico e fanno pensare ai floppy, e alle stampanti a rullo. Adam Atkinson (autore di ‘Nidus’, 1987), possiede ancora delle bozze delle mappe disegnate in quegli anni, ed ha lavorato più recentemente con Paul David Doherty e Gunther Schmidl per recuperare molto del codice sorgente del Phoenix; molti di quei giochi sono ora ritornati ad essere giocabili attraverso una trasformazione meccanica in inform.

‘Advent’ non ebbe un diretto seguito, ma per cinque anni fino al 1982 quasi ogni altro gioco creato era un altro ‘Advent’. Il prologo standard - la parte centrale del gioco - il finale, erano la forma utilizzata da ogni gioco di quel periodo. Il prologo, un mondo tranquillo esterno (quasi sempre con una piccola costruzione che offriva un paio di mazzi di chiavi, una bottiglia e una lampada); la parte centrale del gioco era una serie di tesori da collezionare esplorando una grotta per poi depositarli da qualche parte, mentre la fine vi avrebbe visto essere appellati con il titolo di “Master Game”.

I canyon segreti, i freddi torrenti primaverili, le case degli stregoni, draghi passivi, orsi, troll a guardia di ponti, vulcani, labirinti, barre d’argento, anelli magici, lampade dalle batterie con carica limitata, caverne ottagonali con uscite in tutte le direzioni e così via ricorrono senza fine in una miscela facilmente riconoscibile. 

La pubblicità che circondava la nota edizione pirata della Ace Paperbacks (1965) di The Lord of the Rings (il Signore degli Anelli) aveva aiutato a rendere l’epica di Tolkien un classico nei campus Americani alla fine degli anni ‘60: dieci anni dopo, molti dei giochi di grotte possono essere visti come lavori ispirati al mondo di Tolkien, con elfi, nani e torri di prigionia chiamate Moria. Non sorprende, quindi, che il primo adattamento di un libro in narrativa interattiva sembra sia stato ‘Lord’ (Olli J. Paavola, c. 1980), inizialmente in un gioco mainframe ad Helsinki.2 (Le primissime connessioni ARPANET al di fuori dell’America furono verso la Gran Bretagna e la Scandinavia.) ‘Lord’ cercò faticosamente di rimanere fedele al testo, includendo anche le ballate.

Siete ora fermi a Pianilungone dove un tempo visse Tebaldo Soffiatromba, che per primo scoprì l’erba pipa e cominciò a coltivarla nel suo giardino, intorno all’anno 1070 del calendario della Contea. A sud-est c’è uno stretto sentiero.

Era tipico di Tolkien, che morì nel 1973, creare l’industria di tabacco degli Hobbit quale elemento “reale” all’interno della storia dell’Anello, ma era anche tipico degli imitatori di Tolkien preferire concentrarsi sugli orchi e sulla magia: “Lord”, sebbene non sia mai stato completato, puntava invece ad un adattamento autentico e coerente con il testo originale. Ma anche con tale impostazione, il mito del gioco ambientato nel mondo sotterraneo - il labirinto segreto che unisce tutti i computer - è tanto forte quanto il mito della Terra di Mezzo. “Lord” ha delle monete e un francobollo commemorativo, con chiaro riferimento al “Dungeon” (alla prigione sotterranea), la principale distribuzione del gioco, nel 1978, si evolverà poi in quello che sarà conosciuto come ‘Zork’.

Ad un estremo del gioco ambientato in caverne sotterranee c’è ‘Adventureland’ (Scott Adams, 1978), il primo gioco commerciale a raggiungere le case: un piccolo gioco per piccoli computer basati su programmi registrati su cassette a nastro, scritto lottando contro i brutali limiti di memoria a disposizione di tali macchine. “Sono in un tempio” era il dettaglio che offriva, i giochi di Adams si distinguono da una grammatica strana e piena di errori, un vocabolario vasto, e un vero talento nell’organizzare gli oggetti disponibili in una locazione:

Sono in una tetra palude.
Uscite: Nord, Sud, Est, Ovest, Su.
Posso anche vedere: cipresso – fango dannatamente puzzolente – gas di palude – una chazza galleggiante di melma viscida – zecche

All’altro estremo c’è ‘Acheton’ (David Seal, Jonathan Thackray, Jonathan Partington, 1978–80), con ogni probabilità il più ampio gioco al mondo realizzato al 1980, con 162 oggetti in 403 locazioni. (Il titolo è la fusione tra Acheronte, uno dei fiumi degli inferi nella mitologia greca, e Acate, uno dei personaggi dell’Eneide.) Ecco la descrizione della stanza di magnetite:

Siete in un’ampia e scialba stanza le cui pareti sono composte interamente di magnetite. La tua bussola sembra impazzita e continua a girare senza fermarsi in nessuna direzione. Alcuni passaggi conducono verso altre parti della caverna.

Potrebbe facilmente essere una delle locazioni di ‘Advent’: e per quanto si differenzino per moltissimi aspetti, ‘Acheton’ e ‘Adventurland’ sono riconducibili allo stesso gioco.

▲ Non appena ‘Advent’ cominciò a diffondersi tra le università, cominciarono a fioccarne le modifiche e le rielaborazioni. Come accadde per i Canterbury Tales di Chaucer, il gran numero di versioni modificate evidenziano non solo la popolarità del gioco presso il pubblico (i giocatori) ma anche tra coloro che raccontano la storia (programmatori). Il manoscritto originale di Chauser è andato perduto, ma si crede che tutte le 83 varianti che sono sopravvissute derivino da una singola versione originale. Lo stesso è accaduto per ‘Advent’ la cui versione originale di Crowther con 5 tesori (c. 1975) è andata perduta, e tutte le diverse varianti conosciute sono nate dalla versione estesa a 15 tesori di Woods del Giugno 1977, diluendo sempre più il contributo di Crowter, ovvero, l’aspetto simulativo del gioco. (Per una “filiazione’ del gioco, complicata quasi quanto quella di Chauser, ovvero per un albero genealogico che mostra quante versioni esistano e come siano imparentate tra loro, fate riferimento a http://www.ifarchive.org/if-archive/info/adv-tree.txt.) Molte di queste estensioni sono lavori minori, che apportano poche aggiunte talvolta maldestre, ma tre di queste meritano di essere menzionate. Don Woods realizzò un’ulteriore estensione nell’Autunno del 1978 per arrivare alla “versione a 20-tesori (2° Revisione)”, che viene considerata ancor oggi quella definitiva: inseriva piccole aggiunte per la cisterna ed il dirupo e portava il punteggio a 430 dai precedenti 350 punti. La versione da 550 punti di David Platt (1979) ha una “Valle delle Facce di Pietra” e un enigma che si svolge nel vulcano. Come Platt, David Long (1978) sentì la necessità di aggiungere un enigma tipo spada-nella-roccia: la versione di Long da 501 punti presenta alcune penose incongruenze, come un misterioso mostro Wumpus e una cabina telefonica, ma in realtà non è tanto male.

▲ Una trasposizione realizzata da Jay Jaeger (sostanzialmente taroccata) per un kit di costruzione dell’Altair 8800 rivendica il primato come prima versione per un microcomputer: se così, non rimase l’unica a lungo. La Microsoft e la Apple, titani senza rivali nel futuro e contendenti fin da allora, pubblicarono ‘Micorosoft Adventure’ (Gordon Letwin, 1979) e ‘Apple Adventure’ (Peter Schmuckal e Leonard Barshack, 1980) per Apple II e TRS-80. Le prime versioni commerciali erano fedeli o tagliate, anche se la Microsoft aggiunse un “Software Den”, a nord della Stanza Morbida, contenente dei computer e un programmatore barbuto i cui “incantesimi tenevano assieme le caverne”. (Cf. la locazione RAM in ‘Adventureland’, o l’apparizione in persona del programmatore di ‘Enchanter’.) Anche la versione multipiattaforma della Level 9 di ‘Colossal Adventure’ (1983) ha un sapore classico ma apporta alcune importanti estensioni, rimpolpando il paesaggio al di sopra del terreno inclusi una guglia e un albero di biancospino, ed un finale di gioco più soddisfacente. Gli autori di una poco conosciuta ma molto ben fatta versione per Spectrum 128k ‘The Serf's Tale’ (Nigel Brooks e Said Hassan, Players, 1986) sembrano conoscere quella della Level 9, e aggiungono un leggero intrigo (in alcune scene, il giocatore perquisisce un cadavere alla ricerca di una chiave, ed è aiutato da un locandiere) lungo la strada per le caverne. ‘The Serf's Tale’ porta gli ornamenti al limite del barocco: “Sei in una splendida camera la cui forma ti rammenda l’interno di una torre Araba. I muri sono fiumi gelati di roccia arancione che curvano gentilmente verso un apice in ombra circa tredici piedi sopra la tua testa. Da questa si estende un’enorme stalattite dalla forma di spirale inversa sopra il centro della stanza.” C’è da chiedersi se Crowther l’avrebbe riconosciuto ancora.


(Continua... la prossima settimana, si parlerà dell'età dell'oro delle avventure, tornate a trovarci!)

19 dicembre 2011

L'Arte dell'Avventura (1)


Comincia oggi un percorso che vedrà la pubblicazione, spero settimanale, della traduzione di The Craft of Adventure un saggio scritto da Graham Nelson, ovvero l'autore di Inform - il celebre linguaggio di programmazione dedicato alle avventure testuali in stile Infocom. The Craft of Adventure, costituisce anche l'ottavo capitolo del DM4 e copre gli aspetti letterari, storiografici e teorici della Narrativa Interattiva. 

Era diverso tempo che pensavo di cominciarne la traduzione in italiano, ma è un saggio piuttosto lungo e pieno di riferimenti, il che mi aveva sempre scoraggiato. Vorrei quindi ringraziare Tristano Aimone per averne iniziato la traduzione, partendo dalle sue bozze (da cui traspare un impegno non indifferente) vorrei qui terminarne il lavoro.

Pubblicherò i paragrafi tematici costituenti il saggio separatamente, e poi concluso il lavoro metterò a disposizione una versione completa in formato PDF. 

Perché pubblicare i paragrafi separatamente su queste pagine? Perché si tratta di un lavoro lungo e complesso, e mi piacerebbe che qualcuno dei lettori di questo blog segnalasse eventuali errori ed incongruenze in modo di avere alla fine il prodotto migliore possibile.

Cominciamo con la prima parte, buona lettura:

L’Arte dell’Avventura


La programmazione di avventure richiede la medesima abilità e lo stesso talento d'ogni altra arte. La storia, la struttura del gioco, la programmazione, la qualità delle “finiture”, sono tutti elementi valutati ed apprezzati dai giocatori. 

L’arte del gioco d’avventura si è sviluppata moltissimo negli anni da quando ci è stata trasmessa dai nostri predecessori. L’embrione di ‘Zork’ (Tim Anderson, Marc Blank, Bruce Daniels, Dave Lebling, 1977) – incasinato, improvvisato e spesso sleale – è stata messo assieme disordinatamente in un paio di settimane di tempo libero. ‘Trinity’ (Brian Moriarty, 1986), pianificata in una sinossi nel 1984, richiese ben tredici mesi di progettazione, programmazione e test.

‘Spellbreaker’ (Dave Lebli
ng, 1985) è un esempio di questa evoluzione. E’ un gioco di prima scelta, che alzò la soglia dello stato dell’arte permettendo addirittura al giocatore di dare nomi agli oggetti. Pur facendo parte di una trilogia, di cui costituisce una degna conclusione, è un lavoro che si regge sui propri meriti. E’ un gioco corposo, con più contenuto in ogni singola locazione di quanto ci fosse mai stato prima, e con una struttura che si rivela con successo man mano che si sviluppa la trama: da inesplicabile all’inizio diventa inevitabile non appena la si approfondisce. Nasconde ingegnosi riferimenti alla teoria delle stringhe ed a Le Rane di Aristofane, era un gioco molto più profondo di quanto apparisse. Ma era anche difficile, all’inizio sconcertante, e ricompensava gli sforzi dei giocatori un po’ troppo tardi. Ciò che manteneva l’interesse del giocatore sull’avventura erano il “ciclopico blocco di pietra”, la “voce di miele e cenere” (voice of honey and ashes), e i personaggi che inaspettatamente ti sorprendevano dicendo cose come “Tu insulti me, e insulti anche il mio cane!”. E’ scritto in modo pulito, un testo asciutto è quasi sempre più efficace di un sermone divagante, e molte delle descrizioni delle locazioni in ‘Spellbreaker’ sono ben costruite:


Capanna di fango
E’ una piccola stanza costruita semplicemente con fango, terra e zolle. Grossolane aperture quadrate sostenute da pali di legno legati con lacci di cuoio puntano nella quattro direzioni cardinali, ed un buco in terra conduce verso il basso.

In poche parole, (in quello che era il settimo titolo di Lebling) venivano innalzati i limiti della difficoltà e delle possibili connessioni in maniera magistrale.

Classici come ‘Spellbreaker’ hanno avuto una grande influenza ed hanno conservato la loro giocabilità ben oltre qualsiasi aspettativa: ‘Zork II’, per esempio, è rimasto in vendita sugli scaffali fin dal 1981, un record eguagliato soli da un paio di dozzine dei romanzi di quell’anno. Ma la storia della narrativa interattiva non è solo la storia delle aziende di produzione come la Infocom, Inc. , etc...

Molte centinaia di spettacoli teatrali venivano messi in scena nel tardo sedicesimo secolo a Londra, ma oggi solo le tre dozzine di Shakespeare ci sono familiari, anche il più debole di essi è stato protetto dall’abbandono solo per il fatto di essere considerato un classico. L’attenzione concessagli potrebbe essere giustificata valutandolo su basi letterarie, ma forse non dal punto di vista storico, dal momento che costituisce un’immagine completamente diversa da ciò che consuma il pubblico contemporaneo. Lo stesso vale per la Infocom. Molti dei giocatori di avventure degli anni ‘80 raramente hanno giocato i loro giochi, se non molti anni dopo. La loro reale importanza, al di là della qualità e della loro popolarità, è che hanno costituito un fondamento, nello stesso modo in cui gli albi pre-guerra di Tintin di Hergé svilupparono la grammatica visiva del fumetto Europeo, dalle regole del formato per i baloon dei dialoghi a come dovevano essere rappresentati i pannelli per le scene d’azione.

Tintin e il suo cane Snowy camminavano da sinistra a destra (la direzione delle lettura) quando facevano un progresso e da destra a sinistra se subivano una battuta d’arresto. Snowy perse prima l’abilità di parlare, e quindi l’abilità di capire i discorsi di Tintin. La Infocom ebbe un effetto simile nel gettare le basi delle meccaniche di gioco della narrativa interattiva, ovvero le convenzioni che vengono subliminalmente accettate dai giocatori (e silenziosamente perpetuate da Inform). Per esempio, erano i giochi della Infocom del 1986 che cominciarono ad usare le oramai familiari citazioni letterarie quale stile di commento o come segnalibro, uno sviluppo che potrebbe essere comparato al punto esclamativo che appare sopra la testa di un personaggio sorpreso in Tintin.

Le meccaniche della lettura di un racconto sono praticamente inconsce, ma le meccaniche della narrativa interattiva sono anche meno che familiari, è un medium particolare che non perdona. Un errore tecnico fatto da un romanziere, diciamo alternare dei dialoghi per così tanto tempo che diventa poco chiaro chi stia parlando, non rende impossibile al lettore continuare, come se le ultime cento pagine del libro fossero state incollate assieme. 

L’autore di narrativa interattiva invece deve preoccuparsi continuamente dell’ordine in cui si susseguono gli eventi, del livello di difficoltà, del ritmo con cui vengono date nuove informazioni al giocatore e così via. Nel contempo, anche i passi dell’autore sembrano incerti, per la forma stessa del medium si finisce sempre per oscillare su scelte di compromesso.

La narrativa interattiva non è un libro gioco per bambini, con un labirinto in una pagina ed un rebus nella successiva, né un racconto. Non è pura interazione né pura finzione letteraria, giace in una via di mezzo, una terra ancora largamente inesplorata.


RIFERIMENTI
In questo saggio, i giochi sono citati indicando l’autore e la data quando menzionati la prima volta, successivamente viene riportato solo il titolo. I dettagli delle pagine di dove sono citati nel DM4 sono indicati nella  bibliografia dei lavori citati.   Citazioni non attribuite dagli autori della Infocom possono essere trovate nell’archivio ftp.gmd.de, nella sezione articoli del 1980. La mia scelta delle citazioni è dipesa dalla loro reperibilità: Lebling è citato frequentemente non perché fosse un grande autore (sebbene lo fosse) ma perché è stato spesso intervistato. Marc Blank, tra le altre figure di rilievo, dedicò meno tempo ad intrattenere la stampa. Alcune migliaia di messaggi email interni della Infocom (1982–) sono stati conservati e sono arrivati a noi. Ad eccezione degli ultimi tempi l’impressione generale è quella di un posto di lavoro a dimensione umana con alcuni momenti commoventi, ed un gran numero di figure di spicco che lavoravano nell’ombra. Molto di questo materiale difficilmente diventerà pubblico a causa della sua natura personale. Per rispetto a questo principio, non ho citato nulla direttamente dalle email non pubblicate e ho evitato di attribuire specifiche opinioni a persone precise. Ho citato alcune utili ed innocue email dal disco pubblicato dalla Activision Masterpieces of Infocom, ma notate che queste sono spogliate di ogni contesto. Per esempio la più interessante, una memo del 1987, verte su quale via seguire per i prossimi giochi testuali (discussa brevemente nel paragrafo successivo dedicato alla Struttura), non è come sembra una minuta di un committente, ma è stata scritta come lettera di scuse verso due persone offese per essere state escluse da un incontro informale sulla crisi, ho cercato di mantenere segrete le premesse. Un esempio più felice è uno sketch scritto da Stu Galley in risposta ad una circolare che chiedeva la descrizione di un lavoro: ne è uscito fuori quello che viene chiamato “credo” dell’implementatore. Malgrado lo stile - il cinquanta percento sono affermazioni della missione aziendale, il restante cinquanta percento sembrano frasi di Martin Luther King - questo manifesto è degno di essere letto, dal momento che rende coscienti i dipendenti della Infocom di lavorare in un medium sperimentale ed artistico: “Sto esplorando un nuovo mezzo di raccontare storie. I miei lettori dovrebbero essere immersi nella storia e dimenticare chi siano. Dovrebbero dimenticarsi della tastiera e dello schermo, dimenticare ogni cosa ad eccezione dell’esperienza. Il mio obiettivo è rendere il computer invisibile... Nessuno dei miei obiettivi è facile. Ma tutti necessitano di duro lavoro. Non lasciate che nessuno dubiti dalla mia dedizione alla mia arte.” Un’altro vero credente era Cleveland M. Blakemore, nel suo trattato nel numero 54 della rivista Ahoy! scrive: “Ogni essere umano sulla terra è una dinamo naturale di energia creativa. Imparare ad aprire i rubinetti di questa energia e tradurli in un libro, una tela, o una memoria di un computer, è un’abilità che può essere imparata.”



15 dicembre 2011

La Trama, scena per scena


Con riferimento alla creazione di Avventure Testuali, abbiamo parlato negli ultimi articoli di soggetto, ed abbiamo accennato alla sceneggiatura. Così come per i soggetti anche per le sceneggiature internet è una fonte inesauribile di consigli, guide e modelli.

La sceneggiatura di un lavoro di narrativa interattiva però si discosta molto da quella di un film o di uno spettacolo treatrale. E la differenza è tutta nella parola interattiva.

Le scene di una avventura raramente seguono un andamento lineare, ma si intersecano, cambiano direzione, portano su rami morti, o a finali multipli. A seconda di quanto sia strutturato il gioco, di quanto sia aperta la mappa, di quanto gli enigmi siano indipendenti l'uno dall'altro, il percorso per arrivare alla conclusione della storia può andare dalla linea retta ad un percorso estremamente complesso.

Così le sceneggiature assumono spesso l'aspetto di enormi e complessi diagrammi di flusso.

Prima però di andare a vedere come si dipana la realizzazione di una sceneggiatura, che poi non è altro che la sequenza di scene in cui si sviluppa la trama, vorrei oggi presentarvi un altro articolo di Emily Short dedicato proprio ad una classificazione del tipo di scene tipiche della narrativa interattiva.

L'articolo contiene come al solito interessanti suggerimenti su come usare o distribuire alcuni tipi di scene, il che non può essere che un ottimo spunto per riflettere sulle nostre scenografie e per controllarne la loro bontà.

Come al solito l'articolo "La Trama, scena per scena" lo trovate sul mio sito.

Buona lettura!

Marco Falcinelli 

12 dicembre 2011

Il Soggetto di un'avventura


Nell'articolo di Emily Short dedicato ai metodi di come passare da un'Idea alla realizzazione di un'avventura si citavano tra i documenti che è utile predisporre, prima di passare alla programmazione, il soggetto e la sceneggiatura.

Sono argomenti che possono essere approfonditi largamente su internet (vi sono un'infinità di siti che trattano l'argomento provate a fare una ricerca con google (come scrivere un soggetto o una sceneggiatura), e sebbene nella maggior parte dei casi le guide si riferiscano a lavori teatrali, cinematografici e televisivi, i concetti base di metodo sono estendibili con opportuni accorgimenti a qualsiasi tipo di medium, compresi i videogame.

Una volta scritte su un tovagliolo da bar / sul retro di un pacchetto di sigarette / su una banconota da cinque euro / sul vostro blocco notes preferito che vi portate sempre appresso perché siete previdenti le vostre idee per un racconto interattivo, il passo successivo dovrebbe essere quello di scrivere un breve "soggetto".

Cos'è un soggetto?

Il soggetto non è altro che un breve racconto che "racconta" appunto l'idea narrativa che ne è alla base. Il soggetto è molto importante perché serve a chiarire le idee all'autore che deve decidere se l'idea gli piace e se merita di essere realizzata.

Il soggetto deve avere caratteristiche ben precise:
- Deve avere un buon contenuto; contenere cioè una storia che merita di essere raccontata. Questa è la caratteristica più importante, naturalmente.
- Non deve essere prolisso, ma concentrarsi sugli avvenimenti importanti e che catturano l'attenzione nella storia.
- Deve sviluppare tutto il contenuto dell'idea, senza lasciare lati oscuri o poco chiari.

In breve il soggetto deve essere un piccolo racconto ben compiuto contenuto in una o due pagine. Un consiglio: non innamoratevi troppo del soggetto della vostra storia, alla fine il gioco sarà assai diverso da esso.

Ma come si fa a trasformare un'idea grezza in una storia che partendo da un prologo si sviluppi in una trama fino al suo epilogo?! Ovvero come scrivere una storia che abbia un "capo e una coda"?

Tutti noi ne abbiamo un'idea quanto meno vaga: quando andiamo al cinema ci accorgiamo subito se un film è confuso o meno, se un giallo è ben congeniato o invece è improbabile e così via. Ma quando ci si siede a tavolino per definire in modo preciso come si può dar corpo ad una storia dalla struttura ben delineata in termini di narrazione ci accorgiamo che le cose non sono così semplici.

In molti hanno provato a definire degli schemi narrativi "standard". Aristotele trovò che le situazioni tragiche possono essere ridotte a 25 (più le loro variazioni), Volkov ha sostenuto che il racconto di fantasia può avere solo 15 temi ("L'innocente perseguitato", "La caccia al tesoro", "Il protagonista sciocco", etc.), Van Dine ha stilato uno schema di venti regole per la stesura di racconti polizieschi. In realtà, è molto difficile trovare schemi fissi per la stesura di una storia (anche se ve ne sono molti, pensate alla serie di 007 che segue sempre lo stesso canovaccio e gli stessi clischè), ma quello che cerchiamo qui, se possibile, è uno schema flessibile da seguire che possa aiutare a non perdere la storia che si dipana e si sviluppa nelle nostre meningi.

Ogni racconto è costituito da una serie di "scene" nelle quali il protagonista è chiamato a risolvere un problema, di qualsiasi natura e genere, seguendo linee d'azione atte allo scopo e consone alla propria caratterizzazione. Tale 'ricerca' andrà avanti fino a quando, passando per interruzioni o accelerazioni, non giungerà alla soluzione del problema.

Un racconto tipo può essere schematizzato in modo essenziale in questo modo [cit. Thornley]:

PROLOGO (scene iniziali)
- protagonista e sue caratteristiche
- personaggi di contorno, coprotagonisti e antagonisti
- problema
- soluzione più probabile o appariscente
- contrasti a tale soluzione

CORPO (scene centrali)
- interferenza
- altre soluzioni
- altre interferenze
-soluzione definitiva

EPILOGO (scene finali)
- risultato azione definitiva
- risposte a tutti gli interrogativi non risolti

E' solo uno schema, ed in quanto tale soggetto ad adattamenti particolari a secondo dell'occasione, ma è utile a vedere se lo sviluppo della trama della nostra storia è consistente o troppo piatta e scontata.

Il soggetto, è bene ricordare, è breve (una pagina o poco più) poco dettagliato e riporta solo gli avvenimenti salienti della nostra storia. Ma scriverlo ci aiuterà senz'altro a sviluppare le nostre idee, ed a vedere dove ci conducono. Un utile esercizio, alla scrittura di un soggetto, è quello di prendere un racconto, un fumetto, un film, o la vostra avventura testuale preferita, e cercare di suddividerne le scene come sopra detto. Vi aiuterà a schematizzare il racconto ed ad individuare i passaggi chiave della storia, identificando quelli che vi sono piaciuti di più, ovvero quelli che derivavano dalle idee migliori.

Marco Falcinelli

7 dicembre 2011

Dall'Idea alla Realizzazione


Molti dei giocatori che si appassionano alle avventure testuali accarezzano prima o dopo la tentazione di scrivere un loro gioco. In questo senso l'IF rimane probabilmente uno dei pochi generi di videogame che ancora oggi permette uno sviluppo artigianale da parte di un singolo autore/programmatore. E' un'esperienza bellissima e divertente, ma anche faticosa e demotivante se non si riesce ad arrivare alla conclusione.

A disposizione degli autori ci sono molti sistemi di sviluppo e manuali di programmazione, oltre che guide su come orientarsi nella scelta degli strumenti e tanto altro.

Mancano, invece, a mio personalissimo avviso, suggerimenti di metodo. Ovvero su come organizzare il proprio progetto, e quali passi seguire per assicurarsi di arrivare, partendo da un'idea iniziale,  alla fine (già una gran cosa) col miglior risultato possibile (e qui è dura) e con il minor sforzo (quasi impossibile).

Ora l'approccio da seguire nello sviluppo di una avventura testuale è qualcosa di personale, non è detto che il metodo seguito da uno si adatti a tutti. Molti sono avvantaggiati acquisendo un metodo dal proprio lavoro, o da altri tipi d'esperienza, altri sopperiscono con volontà di ferro e resistenza alla mancanza di metodo, altri ancora naufragano spendendo una gran quantità di energie senza arrivare a pubblicare nulla.

Credo sia utile condividere le proprie esperienze, in modo da aiutare gli altri a non cadere nei propri errori, o almeno ad acquisire coscienza delle difficoltà che si incontreranno scegliendo un tipo di approccio, o dei benefici che si otterranno seguendone un altro.

Un giorno scriverò un mio articolo sui metodi da non seguire, ma nel frattempo è meglio affidarsi a questo articolo di Emily Short che espone la sua personale esperienza che in molti anni (e tanti giochi pubblicati) l'ha portata a cambiare spesso tipo di approccio nello sviluppo delle sue avventure.

Avete pubblicato dei giochi? Avete un metodo infallibile per arrivare al traguardo creando un capolavoro? Non siate timidi, fatecelo sapere!!! Questo piccolo blog sarà felice di darvi spazio se volete.

Marco

4 dicembre 2011

Mappe, copertine e feelies


Mi ha sempre interessato l'aspetto "estetico" dei giochi, il che è curioso per dei "giochi testuali" (potrebbe pensare qualcuno).

Ritengo che una avventura testuale, così come un giornale o una rivista, abbia il suo pezzo forte nel contenuto dei testi, ma che l'impaginazione, la resa grafica sullo schermo, il layout ed i colori possano rendere un gioco testuale estremamente più piacevole alla lettura.

In questo senso si sono fatti passi da gigante negli anni, oggi abbiamo in Gargoyle un interprete con caratteri tipografici, inoltre abbiamo adottato il nuovo trattato di babele, standard che ha permesso di inserire una copertina al gioco, rendendone la presentazione più accattivante.

Molti giochi oggi vengono finalmente accompagnati da un manuale in formato pdf che spiega come istallare il gioco e come iniziare a giocare.

Quella della documentazione di accompagnamento ad un gioco ritengo sia un aspetto importante non solo per il suo scopo funzionale ma anche per quello estetico. Soprattutto oggi, dove i giocatori storici - ovvero quelli che hanno già giocato molte avventure e sanno tutto di z-machine ed interpreti e di come andare a cercare le chiavi dietro gli armadi- sono sempre meno, ed i giocatori nuovi spesso non hanno mai sentito parlare di avventure testuali, ritengo sia importate fornirgli una documentazione non solo chiara, ma anche piacevole alla vista.

Per confermare che il numero di giocatori "storici" sono sempre meno basta andare a leggere il sito web che Marco Vallarino ha dedicato al suo ultimo gioco Darkiss (complimenti a lui per i 1000 download) per vedere che la maggior parte dei giocatori sono neofiti e ci si accorge come siano capitati quasi per caso nel mondo dell'IF, magari perché avevano sentito parlare di questi giochi in qualche serial televisivo.

Ritengo sia quindi  facile comprendere come per non scoraggiare un completo neofita sia importante non solo rendergli l'accesso semplice, ma anche attrarlo con un aspetto intrigante della presentazione del gioco.

In questo senso ritengo che ogni gioco destinato al pubblico dovrebbe avere una sua pagina web, colorata, ben costruita, di facile accesso e con informazioni chiare. L'avventura dovrebbe essere corredata di manuale. Non parlo del solito formato txt, o di uno scarno pdf creato da un semplice documento di testo, ma di un piccolo libricino, colorato, con una buona grafica e delle belle immagini. Un vero e proprio opuscolo pubblicitario.

In questo cammino, ovvero su come rendere più attraente la "confezione" del nostro gioco, pubblico oggi la traduzione di un articolo di Emily Short, dedicato a mappe gadget e copertine

Emily è una delle poche autrici che abbia distribuito alcuni dei suoi giochi come fossero prodotti professionali, non solo distribuendo un CD stampato e confezionato, ma allegando mappe ed altri documenti relativi al gioco, che aiutassero il giocatore nell'immedesimazione o che ne arricchissero l'esperienza ludica rendendola più  interessante e divertente.  

Nel suo articolo parla della sua esperienza, e da alcuni buoni consigli. Avvertendo soprattutto quale percorso ostico costituisca creare dei feelies per i propri giochi.

Qualcuno potrebbe pensare che non ne vale la pena, che è dispendioso sia in termini di tempo che di denaro e che è meglio concentrare tali risorse sul gioco, perché sia migliore. Tutto vero, ma in fondo se qualcuno ancora produce delle avventure in italia e nel mondo, non è certo per ottenerne una gratificazione in termini economici o di numero dei giocatori. E' solo per autentica passione e divertimento. E non mi dite che non vi intriga la possibilità di giocare una avventura con una mappa ben disegnata, magari stampata su carta pergamenata...

Come al solito l'articolo lo trovate sul mio sito.

Buona lettura.

Marco